C’era una volta una ragazza che voleva fare l’editor

Come sono diventata editor

Ma come ti è venuto in mente di fare l’editor?

Molti dei miei vecchi amici potrebbero farmi questa domanda (quelli che sanno cosa è un’editor, almeno). Ma non credo sia il caso di rispondere a loro. Ci metterei davvero troppo tempo, e in caso possono sempre leggere e adattarsi. Adattarsi a cosa? Beh, a questo nuovo mondo in cui ci si rivolge a una persona esterna, pagandola, per correggere i propri scritti.

Una volta, forse, si andava dal proprio padre, dalla propria vecchia maestra delle elementari (o dalla professoressa delle superiori), al limite dal proprio amico secchione. Quando ancora non esisteva la figura istituita dell’editor, uno scrittore, esordiente o no, si rivolgeva ossequioso e pieno di speranza a un proprio amico autore affermato per chiedergli di giudicare, ma anche di emendare, il proprio scritto. Il poverino poi ingoiava la propria bile (effetto dell’orgoglio ferito) e, sinceramente lieto dell’aiuto, riprendeva i fogli coi segnacci e le note a margine dell’esimio sodale, infagottava e portava a casa.

Adesso il panorama è molto mutato. Dolendoci della scomparsa delle case editrici che decidevano di investire sul talento ancor grezzo di uno scrittore, affidandolo a un redattore interno per migliorare il testo e lo stile – magari ne esiste ancora qualcuna, ma chissà –, dobbiamo accettare il fatto che gli editori preferiscono un testo senza problemi, o con pochi problemi. E che chiunque voglia auto-pubblicare ha l’obbligo morale di non offrire ai lettori un’opera densa di refusi.

Qui potremmo aprire una vasta parentesi su quanto sia duro essere editori oggi, su quanto sia difficile mantenere il bilancio, sul trucchetto dei tanti libri nuovi immessi nel mercato per gonfiare la fatturazione e procurarsi altro credito dalle banche per sopravvivere… ma non la apriamo, la parentesi, perché altri l’hanno fatto prima di noi – plurale maiestatis, sì – e, di certo, con maggior cognizione di causa.

La scrittura e il contesto

Insomma, noi scrittori e noi editor dobbiamo fare buon viso al gioco che ci si offre e rispettivamente pagare e lavorare per creare buoni testi, scorrevoli, accattivanti, incisivi (aggiungere aggettivi a scelta). Decodificando il periodo precedente si evince che io, lasciamo da parte il noi, sono sia una scrittrice sia un’editor. Che il mio destino è essere editata e il mio desiderio è editare. No, non me stessa, non funziona così, purtroppo, anche se sarebbe bello. 

A questo punto, è d’uopo tornare alla prima domanda: come mi è venuto in mente di fare l’editor? Per rispondere devo pescare nel personale ma, come dovette dire Dante in una fase iniziale, sarò breve: sono una persona distratta. Disordinata, anche, e tendenzialmente ritardataria, però mi sforzo moltissimo e sono puntuale, alla fine. Ho scoperto, a un certo punto, che l’unica cosa nella quale sono puntigliosa e precisa sono le parole.

Le parole sono importanti. Poi, non so come, è accaduto che dopo l’università mi ritrovai a collaborare con la casa editrice Laterza per le correzioni di bozze a due voci… e fu amore. Eravamo due amiche e ci leggevamo a vicenda i testi, e ci divertivamo, e lavoravamo. E per fare questa cosa divertente ci davano addirittura soldi! All’epoca l’avrei fatto anche senza retribuzione (voi non fatevi strane idee) e pensavo fosse il lavoro più bello del mondo: potevo leggere cose diversissime fra loro, imparare, divertirmi a volte (non ci davano spesso opere di narrativa, piuttosto saggi, magari roba farcita di latino e greco, data la nostra laurea) e guadagnare. Alcune cose imparate dai quei testi me le ricordo ancora…

Inoltre la mia tendenza maniacale all’esattezza poteva sfogarsi, dato che in qualsiasi altro campo si nascondeva efficacemente alla mia coscienza e io vivevo bene nel relativo caos. Quello della correzione era un lavoro investigativo bello e buono: tu dovevi dubitare sempre, scovare l’imprecisione, subodorare l’inghippo. E ne trovavo, di intoppi, a livello contenutistico, mentre era la forma che dovevo controllare. Allora capirono che avevo la mentalità giusta e cominciarono a darmi lavori di redazione. Stavo imparando, crescevo bene…

Alla fine dovetti lasciar andare tutto. Se mi consentite un po’ di boria, precorrevo un po’ i tempi. Dimostravo ad alcuni responsabili di servizi editoriali (anche fuori dalla Laterza) che con le e-mail e la revisione di Word si potevano fare un sacco di cose – e, credetemi, io li ho usati quei segni redazionali con la penna rossa su carta frusciante che sono quasi un’altra lingua – ma no, loro mi volevano lì, nella stessa città, magari a un paio di isolati dall’ufficio, non in un’altra (Taranto è a ottanta chilometri da Bari). In aggiunta, il mondo intorno a me diceva in coro che l’insegnamento era un porto sicuro, che avevo famiglia… Io volevo navigare, sì, anche in acque perigliose (quelle del lavoro freelance), ma non potevo. Ancora.

Nutrirsi di storie

Leggevo sempre, però. Mi inebriavo delle storie e dei loro meccanismi, in televisione e al cinema. Ho cominciato a scrivere – e questa è un’altra storia che non vi racconto ora, contenti? – e, a correggere testi miei e di altri, come succede nell’ordinaria amministrazione di un blog letterario collettivo, la passione per editare mi è tornata. Io ero più vecchia – senza esagerare – ma tanto più dotata di esperienza. Ora il mondo tecnologico mi offriva con una certa facilità tutto quel supporto che avevo già cominciato a immaginare anni prima, e così sono tornata. Sono tornata a editare, a cercare nei testi il cristallo per i concetti: una forma limpida che lasci trasparire il pensiero come fosse appena nato, chiaro, nella mente dello scrittore.

Vi ho raccontato come e perché sono qui a offrirmi come freelance – non vi procura un brivido questa parola? A me sì – e a rendermi disponibile per occuparmi delle vostre creature, cari autori. Perché io lo so come ci si sente, quando il bebè è appena venuto fuori dal luogo dove era nascosto – la vostra mente, eh! – e voi lo tenete fra le braccia un po’ perplessi, esitanti ed estasiati. Consci che qualcuno con una certa esperienza, magari distante, per razionalizzare meglio sul da farsi, e però incantato quanto voi, può occuparsi di lui, mentre voi vi riposate dalle fatiche del parto…

Basta, con questa metafora: dovrei essermi spiegata. Della vostra creatura mi importa, so come vi sentite e, pure, sarò attenta a farla splendere. L’ho già fatto.

Qualcuno, qualche anno fa, non avvertito della mia vocazione da editor, ma fiducioso nel mio essere un’insegnante di italiano, mi ha affidato la sua voglia di scrivere e i suoi romanzi, e io ho fatto tutto ciò che mi era possibile per renderli più belli. Un grazie va a quella persona, perché mi ha ricordato quanto fosse grande il piacere che mi dà occuparmi di un manoscritto e farlo funzionare al meglio.

Editor freelance!

Quindi eccomi qui a inaugurare questo mio scintillante sito da editor freelance – spero vi piaccia quanto piace a me – nato grazie alla mente sagace e alle capacità sovrumane di The Sign of the Two, nella persona di Alessandra Zengo, che ringrazierò senza fine. A un certo punto lei si augurerà che io finisca di ringraziarla, se già non lo fa, perché può essere noiosa la gratitudine eterna. Ma per adesso va così.

Sono  a vostra disposizione, cari i miei quattro lettori (sto citando Manzoni, ma spero siate di più), scrivetemi quando volete all’e-mail dedicata ed esplorate questo nuovissimo e adorabile sito.